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Paul McCartney è morto? Il mistero del bassista dei Beatles diventato leggenda (metropolitana…)

Una delle leggende più longeve del mondo del rock è sicuramente quella basata sulla morte di Paul McCartney, storico membro dei Beatles. Secondo la versione più diffusa, il 12 ottobre 1969, più o meno cinquant’anni fa, se ne parló per la prima volta. La notizia giunse al mondo tramite una chiamata di un certo Alfred, ricevuta da una stazione radiofonica di Detroit gestita dal noto disc jockey Russel Gibb. L’uomo al telefono affermó che il bassista era morto il 9 novembre 1966 in un incidente stradale e che chiunque avrebbe potuto verificarlo tramite le numerose ‘prove’ presenti nello stesso materiale dei Fab Four. Sono diverse le versioni fornite nel corso degli anni ma la prima in assoluto dice che Paul McCartney quella sera, dopo un litigio con i colleghi, uscì dagli studi di registrazione e diede un passaggio ad una ragazza di nome Rita, la quale si accorse durante il viaggio di essere in macchina con uno dei Beatles: la sua reazione fu talmente esagerata da spaventare Paul e far sì che per evitare un altro veicolo si schiantasse contro un albero, rimanendone ucciso insieme all’autostoppista.

Se entrambi morirono nell’impatto, com’è possibile che quest’uomo sapesse esattamente cosa accadde? A favore di questa teoria, Alfred ha rivelato di aver trovato numerosi indizi nelle copertine degli album. Una delle più conosciute è sicuramente quella di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band: ai piedi dei quattro, si può infatti notare una composizione floreale a forma di basso che sembra richiamare una tomba, la quale se guardata attentamente comporrebbe la scritta “Paul?”.

Altro dettaglio è costituito dalla presenza delle statue di cera dei quattro, tra le quali si può notare lo sguardo di Ringo affranto e la mano di McCartney sulla sua spalla, come per consolarlo. In basso si trova un televisore con lo schermo rotto, allegoria del fatto che la notizia fu nascosta ai media. La cosa forse un po’ più sorprendente è però la scritta “Lonely Heart’s” : se viene posizionato uno specchietto esattamente a metà, il riflesso creerà la scritta “I ONE IX HE DIED” (9 novembre lui morì), la quale sembra proprio indicare il bassista. Questo ‘indizio’ non è però da considerare valido, in quanto non tutti riescono a scorgere questo messaggio. Nell’album è inoltre contenuta “A day in the life”, canzone che parla di un incidente stradale che costa la vita al protagonista. I fanatici hanno immediatamente pensato che si trattasse di Paul, ma in realtà il morto è Tara Browne, amico dei Beatles che morì in tali circostanze qualche mese prima e a cui dedicarono la canzone. Nel testo si trova inoltre una frase che dice “He blew his mind out in a car” (gli saltarono le cervella in un’auto), la quale descrive esattamente la vera dinamica della morte di Browne. E se davvero Paul McCartney fosse morto nel lontano 1966, perché mai gli altri Beatles avrebbero dovuto disseminare degli indizi così evidenti, rischiando di farsi scoprire? Ma soprattutto, se davvero fosse stato sostituito da un sosia, tale William Campbell, ciò vuol dire che quest’ultimo è persino più bravo dell’originale: non dimentichiamo infatti che nel periodo successivo il ’66 furono scritti capolavori come “Hey Jude”, “Let It Be”, “Back in the U.S.S.R” e “Get Back”.

Un altro “indizio” si può trovare nel White Album, pubblicato il 22 novembre 1968; in esso è contenuta una canzone chiamata “I’m so tired” alla fine della quale si sente John Lennon pronunciare qualcosa di incomprensibile, che se ascoltato al contrario direbbe “Paul is a dead man, miss him, miss him, miss him” (Paul è un uomo morto, mi manca, mi manca, mi manca).

Abbey Road è il Santo Graal dei fanatici che credono a questa assurda teoria. Questo è forse l’album più conosciuto dei Beatles, sulla cui copertina è presente l’iconico scatto dei quattro sulle strisce pedonali, considerato uno degli “indizi” più importanti. I Fab Four attraversano la strada in fila indiana: John Lennon vestito di bianco rappresenterebbe un angelo, Ringo Starr con un elegante completo nero sarebbe il proprietario delle onoranze funebri, Paul McCartney scalzo è secondo una tradizione induista allegoria del morto, mentre George Harrison in camicia e jeans sarebbe il becchino incaricato della sepoltura del corpo. Vi invito a rendervi conto di quanto queste affermazioni siano forzate e troppo superficiali. Sullo sfondo si nota anche una Volkswagen, la cui targa recita “28IF LMW”: l’interpretazione attribuita è ‘se fosse stato vivo Paul avrebbe avuto 28 anni’ (28 if) e ‘Linda McCartney widow’ (LM vedova). Queste parole sono in realtà prive di fondamenta in quanto la foto fu scattata nell’agosto del ’69, ed essendo il bassista nato nel giugno del 1942, in quel periodo avrebbe avuto 27 anni e non 28. Stessa cosa vale per la sigla LMW: se il Beatle fosse davvero morto nel 1966 la vedova sarebbe stata l’attrice Jane Asher, sua fidanzata dell’epoca, e non Linda che non conosceva ancora. Oltre a questo, viene considerato anche il fatto che sulla destra si trova un camioncino della polizia utilizzato per i rilievi sui luoghi degli incidenti stradali: informandosi bene, si scopre in realtà che non c’era alcun veicolo speciale impiegato per tali scopi. Sempre sullo sfondo si trova inoltre un’auto che se continuasse la sua corsa finirebbe proprio per travolgere Paul McCartney, certo, come se non fosse dotata di freni o come se il bassista camminando non raggiungesse il marciapiede. Ultimo ‘indizio’ sulla copertina è il numero civico ‘3’ che rappresenterebbe i tre Beatles vivi: un numero civico è però un numero civico e non può essere spostato a piacimento, tant’è che ad oggi è ancora lì. Una questione mossa da una donna tedesca, la quale afferma con estrema sicurezza che Paul McCartney sia suo padre, ha acceso un lume di speranza nei fanatici poiché il DNA non coincide. La risposta è in realtà ben più facile e priva di mistero: semplicemente il bassista non ebbe alcun legame con la madre di questa donna, di conseguenza suo padre è da ricercare altrove. Un altro ‘mistero’ legato alle impronte digitali è stato portato avanti negli anni Ottanta, quando McCarteny fu arrestato in Giappone per possesso di droga. Il baronetto d’Inghilterra aveva però avuto problemi con la legge in precedenza, precisamente nei primi anni Sessanta, quando dando fuoco ad un preservativo appiccó un incendio doloso in un albergo di Amburgo. In entrambi i casi furono prese le impronte digitali, le quali non coincidevano più.

Ciò che mi chiedo io è perché mai la polizia giapponese avrebbe dovuto contattare quella tedesca per confrontarle, e soprattutto come è possibile che dopo più di vent’anni le trovassero e fossero disposte a mandarle dall’altra parte del mondo per nessun apparente motivo. Molte differenze sono state notate anche a livello fisico, ma è ovvio che negli anni una persona cambia sotto ogni aspetto, soprattutto, nel caso di Paul, odontoiatricamente parlando. Il bassista ha infatti confessato di aver sistemato la propria dentatura, rendendola di conseguenza diversa. Dopo anni di silenzio, nel 1994, McCartney ha pubblicato un album, la cui copertina lo rappresenta sulle strisce pedonali di Abbey Road con il suo cane, il tutto accompagnato dalla frase “Paul is live” (Paul è vivo). Questa volta sulla targa della Volkswagen compare la scritta “51IF”, rappresentante la sua età di allora. Ciò che mi ha sempre divertito è che i sostenitori del cosiddetto “Paul is dead” hanno trovato ‘prove’ anche nel materiale precedente il 1966: un esempio può essere la canzone Yesterday nella quale McCartney canta “I’m not half the man I used to be, there’s a shadow hanging over me” (Non sono più la metà dell’uomo che ero, c’è un’ombra che incombe su di me). I Beatles scrivevano quindi della morte di Paul prima che fosse avvenuta, incredibile!

Anche voi vi renderete conto di quanto questa storia sia ridicola e guidata totalmente dalla paranoia: nel 1969 le menti distrutte da acidi e chi sa cos’altro non erano infatti ben poche, e non mi stupirei se una di esse avesse messo in giro questa voce. I Beatles d’altra parte, hanno cavalcato l’onda e, inserendo appositamente ‘indizi’ del genere nel proprio materiale, hanno ottenuto pubblicità e maggiore visibilità (non che ne avessero bisogno), oltre che ad alimentare il loro mito. Per smontare questa teoria complottista mi sono bastate poche parole, d’altronde basta usare la logica. Dopo avervi dato queste delucidazioni non mi resta dunque che augurare lunga vita a Paul!

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Liceale innamorata dell'arte e della musica. Il suo stile è quanto più simile a quello in voga negli anni Sessanta, è grande ammiratrice dei Poeti Maledetti e scrive da sempre. Il suo guru? Jim Morrison